Sin da quando veniamo al mondo, la nostra vita è costellata di lotte, fatica e sofferenza, come ben rappresentato dal primo pianto del bambino appena nato. Come conseguenza del peccato, la sofferenza e la fatica caratterizza la nostra vita, sin dai primordi della vita. La disubbidienza dei nostri progenitori nell’Eden, ha prodotto la perdita di una condizione di vita paradisiaca che Dio aveva creato per far vivere l’uomo. Le conseguenze furono nefaste, sia per la donna che per l’uomo: «Io moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con dolore partorirai figli; i tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito ed egli dominerà su di te» (Gen.2:16). Anche per l’uomo ci furono pesanti conseguenze: «Poiché hai dato ascolto alla voce di tua moglie e hai mangiato del frutto dall'albero circa il quale io ti avevo ordinato di non mangiarne, il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita. Esso ti produrrà spine e rovi, e tu mangerai l'erba dei campi; mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai» (Gen.2:17-19). Un aspetto drammatico che da quel momento in poi avrebbe caratterizzato l’intera umanità, in semplici parole, sofferenza, dolore, fatica e morte. La cacciata dall’Eden, ben rappresenta per l’uomo la perdita della condizione paradisiaca che Dio aveva concepito per la creatura a “Sua immagine e somiglianza” (Gen.1:26). Per esperienza personale, ogni uomo da quel momento ha dovuto lottare per sopravvivere, faticando e soffrendo, per garantirsi la vita, impiegando tutti i propri sforzi per cercare almeno parzialmente, di raggiungere quella condizione paradisiaca perduta dell’Eden. Infatti la fatica umana mira a quel “riposo” perduto a causa del peccato introdotto nel mondo da Adamo ed Eva. In tutti i modi, l’uomo ha cercato il riposo in tante cose: nella ricchezza, nella realizzazione della propria carriera, nella propria famiglia, nelle droghe e nell’alcool come fuga dalla triste realtà, nel dominare sugl’altri, sul potere e tante altre cose ancora. Ma nonostante gli sforzi, la fatica, la sofferenza nel perseguire tutte queste cose, l’uomo non trova sollievo, non trova la vera pace o quel riposo che tanto agogna, ma si rende conto di andare dietro a illusioni, surrogati imperfetti di quella gioia, di quel riposo che si ricercano per una vita intera. Un quadro triste e desolante: rendersi conto della propria impotenza di evitare sofferenze, fatica, lotte, battaglie quotidiane, e quando nel nostro piccolo, pensiamo di avere raggiunto in parte quel riposo bramato, ci si rende conto che è solo un inganno effimero, che non soddisfa appieno l’aridità interiore che ci pervade quando ci rendiamo conto, che la nostra sete di giustizia, di benessere e di riposo non si riesce a soddisfare, ma permane come un miraggio nel deserto, e che porta molti alla disperazione più totale.
In questa fosca visione, riecheggiano le parole pronunziate da Gesù, duemila anni fa circa, come una luce in mezzo alle tenebre più oscure: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo» (Matt.11:28). Di cosa stava parlando Gesù? DI che riposo si tratta? Sappiamo che certamente non si riferiva a un riposo puramente fisico, in quando anche oggi, dopo tante fatiche, il nostro corpo necessita di riposo, che cerchiamo nel sonno nel nostro letto o in un po’ relax in una delle nostre comode poltrone. Il concetto di riposo inteso da Gesù, va oltre il nostro semplice concetto di riposo umano. Gesù ci suggerisce che è Lui il mezzo attraverso il quale può essere ripristinata la nostra vita agl’antichi splendori dell’Eden, una vita paradisiaca, in cui ogni attività non comporta sofferenza o fatica, ma è caratterizzata da una parolina ricca di significato: “riposo”. Riposo inteso non come inattività, indolenza o altro concetto simile, ma una pace nel cuore, una leggerezza nell’animo senza eguali. Infatti, quando l’uomo perse il paradiso dell’Eden a causa del suo peccato, Dio, come Padre amorevole, aveva sin da allora, pianificato la Salvezza dell’uomo (Gen.2:15). Dio, nella Sua infinita saggezza, è riuscito a coniugare il Suo immenso amore con la Sua giustizia, proprio in Gesù, quella progenie della donna indicata in Genesi, il quale caricandosi di tutta la sofferenza, la fatica e i peccati del mondo intero, ha soddisfatto la giustizia di Dio, morendo al posto nostro sulla croce del Golgota e così facendo, ha rimesso in comunicazione l’uomo peccatore col Dio Santo. Egli è diventato il canale attraverso il quale l’uomo può tornare “nell’Eden”. Egli è il nostro vero riposo, ha fatto qualcosa di irripetibile che ci ha permesso di ristabilire il rapporto perduto con Dio a causa del peccato. Ne ha pagato il prezzo pieno per ciascuno di noi e ci ha fatto il dono della vita eterna, come se il peccato non fosse mai esistito. Ovviamente per realizzare tutto questo, ciascuno di noi deve fare una parte molto semplice: accettare questo dono. Infatti, dalle parole di Gesù, si denota un’azione da compiere per poter realizzare questo tanto agognato riposo: andare a Lui, infatti dice espressamente “…Venite a me…”. Occorre infatti la nostra volontà per sperimentare questo riposo, il vero riposo. Ma in che cosa consiste questo vero riposo? Molti intendono il riposo eterno, cioè alla morte, quando l’anima insieme allo spirito si separano dal corpo e tornano a Dio (Salmo 62:1). Ma è necessario attendere la nostra morte terrena per gustare il riposo? Come ben detto da Davide nel salmo, il nostro riposo è solo in Dio, come per un piccolo fanciullo, il suo riposo è il proprio genitore. Ma quando il nostro cuore si ribella a Dio, rischiamo, come fece Israele di perdere il nostro riposo (salmo 95). Oggi questo riposo benedetto è alla portata di tutti, non è privilegio solo di pochi, ma “…a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio” (Giov.1:12). Questo è il “segreto” della vera felicità e del vero riposo. Solo Gesù è il nostro vero riposo.